MARSALADUE

Project Room

TOI TOI TOI

TOI, TOI, TOI

ILARIA PICCIRILLO

Testo Critico : Domenico Grenci

Dal 6 Luglio al 6 Agosto 2023

inaugurazione Giovedi 6 Luglio alle 19:00

Nello spazio di questo attimo in cui dura l’illuminazione d’una menzogna, mi fabbrico un pensiero

d’evasione, mi butto su una falsa pista indicata dal mio sangue. Chiudo gli occhi dell’intelligenza e,

lasciando parlare in me l’informulato, cerco di avere l’intuizione di un sistema di cui sfuggano i

termini. Ma di questo attimo di errore mi resta la sensazione d’avere rapito all’ignoto qualcosa di

reale. Credo a congiure spontanee. Sulle vie in cui mi trascina il mio sangue forse un giorno mi sarà

possibile scoprire una verità.

Antonin Artaud

(da Frammenti di un diario d’inferno, p. 55)

L’opera è una scena che prende vita, la mano deve imparare a stare in ascolto, con fducia, scandirne i tempi, seguendola nel suo svolgimento. L’artista come un drammaturgo è un’antenna vigile, uno strumento umile capace di cogliere ed esaltare le qualità del solco. Nel tessere le trame sovrapposte e intrecciate di mondi talvolta indistinguibili, Ilaria sceglie la “messa in scena”, teatro, modo e luogo di rivelazione o di epilogo degli eventi. Il suo palcoscenico diventa arena di accadimenti, luogo di passaggio e ‘porta d’ingresso per un altro mondo’. Questa stanza senza pareti, delimitata da tende rosse, è uno spazio indefnito, spazio di scissione, stratifcato disorientamento, soglia appunto tra il mondo reale e quello ultraterreno, tra il pubblico ed il suo sconcerto. Un pubblico stavolta non raffigurato se non nella sua reale essenza di presenza immateriale con cui diventa parte dell’opera.

Si svela il “circo barnum” ed entrano in scena i propri epici eroi e le proprie desolazioni, tutta fantasia versata a terra. Spie accese, il cantante di menzogne di una contemporaneità futile, mangiafuoco, l’erotismo cannibale e rose sul pavimento, sono solo alcuni degli aspetti che intravedo nella scena. Si deforma questa realtà e la commedia si tramuta in mito. Van Gogh pensava che bisogna saper dedurre il mito dalle cose più terra terra della vita e, di fondo, è quello a cui assistiamo: una ridda di immagini surreali, che pone in evidenza personaggi di una compagnia di fantasmi. Suo malgrado. l’Arte secondo Hopper è costretta a fingere se stessa sotto i riflettori di un immenso palcoscenico. Essa diventa lo spettacolo impudico in cui finzione e realtà si sovrappongono e con cui l’artista sembra dialogare e bisbigliare pose, battute, umori. L’opera stride, quasi come rumore irritante; la qualità della luce, il tono e il sogno si fanno segno. Portano all’estremo la tecnica poetica di estrapolazione dal contesto e le fgure di personaggi si trasformano in immagini emblematiche della commedia umana. I protagonisti sembrano sospesi, in lotta per portare a compimento il proprio destino contro un mondo che sembra rinnegare il loro vero volto con sarcasmo e gusto dell’assurdità, nonsenso, antinomia. Tutto lo sconforto dei dubbi di un caos di voci e di gesti e di-segni, che incombe sullo spettatore e sull’opera stessa, diventa un’impalcatura nuda in balia dello sguardo altrui. Ciò che si delinea è la summa della decadenza della civiltà occidentale o invece un luogo in cui i suoi miti vengono decostruiti e in cui la realtà della vita, spettrale e desolata, viene vista nella sua essenza.

Potrebbe forse questo essere un modo per raccontare l’oggi? Aprire la pagina, e svelare il meccanismo, un pop-up o deus ex machina, e lasciare che le storie v’entrino come follie, strisciando da sole.

Domenico Grenci

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