MARSALADUE

Project Room

Open Studio II

SARA CORTESI, FLAVIO PACINO, ILARIA PICCIRILLO, ARIANNA ZAMA

OPEN STUDIO II

Marsaladue

20/9/24 – 19/09/24

Infiniti Transitori/ Trasient infinities

a cura di Antonio De Falco

E’ possibile realizzare una vita materiale più umana,

se solo si comprende meglio il processo del fare

R. Sennet

Le stanze in cui nascono le opere d arte

sono da sempre considerate

un arcana residenza del mistero.

Oltrepassare le soglie richiede il rispetto

di chi sa di avere ottenuto un privilegio “

Vittorio Ferorelli

Dopo molti anni di osservazione e frequentazione degli atelier, mi sento ancora privilegiato e sempre affascinato ad entrare e visitare questi luoghi di creazione, dove si possono scoprire doni che inconsapevolmente l’artista offre. L’esplorazione all’interno di uno studio permette di immergersi in un universo, di visioni e di materiali che raccontano storie silenziose e affascinanti. Ci si imbatte in dettagli nascosti che svelano la ricerca dell’artista: piccoli souvenir, oggetti trovati nei mercatini o per terra, ma anche prove, bozzetti, materiali grezzi, elementi che tessono una rete invisibile di ispirazione. Oggetti feticcio, fermi ed immobili, custodi di idee e riflessioni, che mostrano l’artista nel suo retrocedere ed attendere, in un movimento quotidiano del fare.

Al suo di terzo anno di attività Marsaladue vuole rendere omaggio agli artisti residenti Sara Cortesi, Flavio Pacino, Ilaria Piccirillo e Arianna Zama con un Open Studio, dedicato non alle opere ma ad elementi prelevati dai loro atelier, attraverso una selezione di oggetti transitori: residui, calchi, idee sospese, esercizi di intuizione, lavori non finiti o semplici prove, fatti di una materialità provvisoria che non rivela qualcosa di chiaro ma sussurra le intenzioni di un percorso.

La mia scelta curatoriale ricade quindi su elementi formalmente lontani dall’opera finita ma che fanno parte del processo creativo, che diventa più chiaro sopratutto se inserito in questi luoghi “cruciali e reali, in questi ambienti che fanno comprendere meglio l’habitat delle opere” come direbbe T.Smith.

Ordinando tutto su un unico livello annullando così ogni confine, in una sorta di ribaltamento troviamo negli studi le opere finite e nella Project Room invece gli elementi dello studio. Nel resto dello spazio i calchi utilizzati, i blocchi di argilla, il legno, i gessi ed altri materiali grezzi che attendono pazientemente di essere trasformati, sono anch’essi reliquie di un processo alchemico.

Lo studio non è solo il luogo della creazione, ma anche quello della riflessione e della condivisione. L’artista, con il suo spazio aperto alla vista altrui, accetta implicitamente questo sguardo esterno e le molteplici suggestioni che ne derivano.

Sappiamo che l’atelier “è una sorta di rappresentazione, magari anche in senso teatrale, della mente e della vita di un artista”, come indica Elio Grazioli :“Lo studio visit, l’invito cioè da parte dell’artista stesso a visitare il suo atelier, è ormai diventato un fenomeno diffuso per quanto piuttosto problematico. Se da un lato esso segnala una certa crisi della galleria privata in particolare che ha saputo rinnovarsi ben poco come luogo di esposizione e cultura, dall’altro è una ritirata sì nel luogo della creazione ma secondo una sua concezione piuttosto privata. D’altro canto, così come nella migliore delle ipotesi, quando l’atelier è lasciato “vivente”, come lo vive l’artista, non ripulito e sistemato a white cube, come si suol dire, e dunque trasformato a galleria, è anche la ricontestualizzazione dell’opera, delle opere, come operazioni creative, culturali, esistenziali.”

Il visitatore diventa un interprete libero, leggendo e decifrando l’ambiente secondo la propria sensibilità e immaginazione. Ogni sguardo posato su un oggetto, ogni interpretazione data a un’opera incompiuta, diviene un atto di risemantizzazione, spesso illusorio. L’arte vive non solo nell’intenzione originale, ma anche nelle infinite riletture di chi la osserva. L’artista in questo caso non può fare altro che accettare l’interpretazione anche del suo spazio di lavoro.

In questi prelievi, a metà fra opera e strumento di lavoro, in queste opere “non-finite” o si potrebbero allora dire “infinite”, scopriamo l’indizio di una poetica, che ci racconta storie di ispirazione e memoria, di ripensamenti ed imperfezioni, in un mosaico di vita e creatività. Rifacendomi alla splendida definizione di Stefania Zuliani , lo studio è “spazio di vita e creazione, archivio denso di materie e pensiero, laboratorio ed esclusiva vetrina ma anche luogo segreto di intimità privilegiate e di serrate contraddizioni”. In questo indugiare non si percepisce vulnerabilità dell’artista ma una posizione riflessiva, anche dubbiosa, in lotta con se stessa. Un viaggio continuo, fatto di tentativi che spesso catturano la nostra attenzione, a volte confondendoci ma che sempre ci regalano momenti di intuizione e di possibilità infinite.

Smith, T. (2012). The Studio Reader: On the Space of Artists. University of Chicago Press.

Grazioli, E. (2023).L’atelier d’artista come dispositivo. Doppiozero Arte.

Zuliani, S. (2013) Atelier d’artista. Mimesis.

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