MARSALADUE

Project Room

Magnifica Presenza

Arianna Zama

Magnifica presenza

A cura di Eleonora Savorelli

Marsaladue
Via Marsala 2, Bologna

21 giugno – 19 luglio 2024

Opening: 20 giugno, ore 19

Magnifica presenza, mostra dell’artista ravennate Arianna Zama (Lugo, 1998) curata da Eleonora Savorelli (Lugo, 1997).

La mostra Magnifica Presenza si focalizza sulla ricerca pittorica dell’artista, in particolar modo sul lavoro dell’ultimo anno. Un allestimento intimo e contenuto dove le creature di Zama saranno disposte in dialogo tra loro. Occhi, sguardi e frammenti ordinati come in una sorta di geografia immaginaria.

La ricerca dell’artista si nutre da sempre di suggestioni letterarie e poetiche, con una fascinazione per il teatro e il cinema. Apparati fittizi, trucchi di scena e storpiature. Pezzi di vegetazione improbabile e personaggi di altre vite. Arianna Zama alterna l’uso della pittura ad olio a quello dei pastelli grassi con cui gioca a sovrapporre pelli colorate sulla tela. Una predilezione poi per il piccolo formato con la finalità di un rapporto artista-opera-spettatore ravvicinato e religioso.

Magnifica presenza si inserisce nel contesto di Opentour 2024 promosso dall’Accademia di Belle Arti di Bologna. Visite nei giorni di Venerdì 21 Giugno dalle 10 alle 18.30 e Sabato dalle 10 alle 22. Fino al 19 Luglio la mostra sarà visitabile tutti i venerdì dalle 15 alle 20 oppure su appuntamento contattando info@marsaladue.it

TESTO CRITICO A CURA SAVORELLI:

Per una cartografia della notte. La poetica fantasmatica di Arianna Zama
Le pareti dello studio di Arianna Zama accolgono gente sotterranea,abitanti di luoghi che non ci hanno mai visti, alimentati da un’instancabile ribollire di presenze fantastiche che sono fantasmi. Nel testo dell’artista Appuntiper una tassidermia gentile leggo: “I muri della camera sono pareti di
uno stomacocontratto. Vomito”.
Come una speleologa, Zama si addentra e scava nelle viscere di un universo che non è nostro, ingombro del non-detto e del non-visto,nell’intento difar riecheggiare storie che si organizzano e vivono in un ritrovato protagonismo. La pratica dell’artista si nutre della marginalità di storie non narrate e
si alimenta continuando a porsi domande.
Pezzi di corpi che sono reliquie, reperti che vivono nel rischio di non essere raccontati, in quella che Heidegger chiama “produzione della terra”1 che viene dalla terra e si fa essa stessa terra, accedendo alla rappresentazionereale. Eppure, ciò che risiede nella poetica di Zama porta con sé una lettura ultima
che è impenetrabile e resiste al discernimento, quello che in psicoanalisi viene chiamato “ombelico del sogno”2. Il motore che traghetta il messaggio artistico da dentro di sé a dentro chi guarda; ma chi guarda è anzitutto scrutato.
Con gesto morbido e sicuro l’artista produce paesaggi domestici, che probabilmente non sanno di abitare il sé, configurandosi come fantasmi partoriti da processi difensivi. Dandosi il diritto di essere imperfetta e
ammettere la vita. E la morte. E l’amore. Zama dipinge avvalendosi di un lessico che parla di cose, persone e personaggi spesso non vissuti o vissuti a metà.
Prendendo ispirazione soprattutto dalla letteratura, ma anche da suggestioni teatrali
e cinematografiche, si tratta di figure che non sono nate che in forma embrionale, appena abbozzate, se non meramente citate, negli orli di storie altrui.
Figure magiche che, nel venire al mondo, raccontano finalmente la loro storia. Si liberano attraverso il tempo del mondo e vivono nelle tele che, per il loro formato e per il tipo di fruizione che prevedono – ravvicinata come in quel momento che precede di pochi attimi un bacio – ricordano le edicole votive.
Esse sono occupate dalla fisicità di corpi nudi, magici e duplici, oggetti del desiderio sempre mutilati. O di un desiderio mutilato.
Presenze sgradite che sono frazioni del sé, fantasmi che qui vengono esperiti, stressati, e resi fisici nella pittura. Non è senza pena che l’artista indaga e distingue la propria cifra: un’alternanza di ritmi che sfiorano la realtà, scanditi da scenografie che ci fanno piombare in ambienti indefiniti e stretti, dove è inevitabile il confronto con il sé. Come quando apriamo gli occhi nel buio e si rende necessaria l’attesa,
il tempo che ci consente di vedere meglio, la chiave della ricerca di Zama sta in ciò che trema, sfocato. Ciò che si teme e si allontana, che si schiva come schiviamo la notte, come schiviamo la morte.
Ma siamo noi: quelli di Zama sono angoli di verità che, in quanto luoghi in cui la mente si ferma, se ascoltati spiegano il vantaggio del tormento. Il vantaggio del tormento. Sono corpi che detengono un tesoretto di segnali emotivi. Organismi che ci chiedono chi sono? Cosa sono? E ogni risposta innesca una nuova domanda, risolvendo un fantasma e disegnandone un altro.
I nostri occhi leggono una stanza di corpi che mangiano sassi, che pisciano sulle piante, che leggono le carte, che ci guardano minacciosi con nasi-falli.
Corpi sporchi, banditi che scompaiono dalla realtà. Corpi veri. Gente sotterranea mai nata, mai stata amata prima. Soggetti che abitano la notte ed entrano a far parte della cartografia pittorica di Arianna Zama. In Cent’anni di solitudine Màrquez scrive: “La ricerca delle cose perdute è intorpidita dai
gesti consuetudinari, ed è per questo che costa tanta fatica trovarle”.

Eleonora Savorelli

1 Di Benedetto, Prima della parola. L’ascolto psicoanalitico del non
detto attraverso le forme dell’arte, Milano: Franco Angeli, 2000
2 S. Freud, L’interpretazione sogni, a cura di R. Colorni, trad. di E.
Fachinelli, H. Trettl, Torino: Bollati Boringhieri, 2016

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